LE FOGNE DI VIENNA
"In Italia in secoli di guerra e distruzione hanno fatto Michelangelo, il Rinascimento, Donatello. In Svizzera, dopo anni di amore fraterno, che hannno prodotto? Gli orologi a cucù!" (Il terzo uomo, Carol Reed)
Non aspettava altro che uscire da quel maledetto tunnel per darsi una ripulita ai mocassini. I suoi piedi si stavano impregnando dello schifo immondo che scorreva nella fogna ed il disgusto che provava nell'esalare i tanfi che emanavano quegli orridi rii lo fece vomitare, almeno un paio di volte.
Estrasse la
pochette dal taschino della giacca che aveva comprato appositamente per quel
matrimonio e se la porse alla bocca per cercare di respirare. Non gli sembrava
possibile. Come cazzo era possibile che pochi minuti prima fosse seduto ad un tavolo a mangiare uova di storione e ostriche
della Coffin Bay ed ora a pagare lo scotto della dura vita del fuori legge. Qualche bastardo aveva cantato. Ma imparando il mestiere aveva appreso anche che gli infami hanno la lingua lunga e la vita breve. E di infami l'Austria ne era piena. Soprattutto dopo la guerra.
Ma ora non aveva tempo di pensare a quella feccenda. Doveva rimanere concentrato, anche se era cosa ardua mantenere la lucidità in una situazione del genere: con lo stomaco zeppo di ostriche e champagne ed il tempo contro.
- Henry mantieni la calma dannazione, altrimenti ti prendono - pensò. Di
fronte a lui la rete fognaria di Vienna si spiegava fino ai paesini conurbati,
creando un labirinto in cui solo chi ne conoscesse bene la planimetria poteva
sperare di orientarsi. Iniziò a sentire lo scalpiccio dei passi in lontananza
avvicinarsi e le urla delle guardie che aizzavano i cani per stanarlo. Fortuna
che con tutta la merda che aleggiava lì sotto, per le belve degli sbirri, non
sarebbe stato facile distinguere l'odore del Vetiver. Doveva fare in fretta. Prese
a camminare velocemente per il tunnel che si sviluppava alla sua sinistra,
stando bene attaccato alla parete per non scivolare nel canale che trasportava
i rifiuti di tutta la città, giù verso il Danubio. Una volta un amico gli disse che
gli zingari avevano disegnato dei segnali sulle pareti per potersi orientare, mentre fuggivano verso la campagna con il malloppo dei furti consumati in
città. Ne sarebbe bastato trovare uno, soltanto uno. Maledizione. Doveva uscire di lì e proseguire la sua fuga in superficie. Decise di allungare il vantaggio cominciando
a correre in direzione opposta a quella dei suoi inseguitori. Le voci alle sue
spalle incalzavano.
Dopo qualche centinaio di metri cominciò a distinguere in
lontananza il suono come di una cascata, probabilmente un punto di raccolta in
cui confluivano alcune delle reti cittadine. Un buon segno, forse lì avrebbe
trovato un modo per poter uscire. Era salvo! Sentì il battito cardiaco
accelerare e le mani cominciare a sudargli per l'eccitazione. Prese a correre
con tutta l'energia che ancora aveva in corpo verso il punto di raccolta,
facendo sempre bene attenzione a mantenere la pochette schiacciata sulla bocca
e sulle narici.
Improvvisamente un gruppo di ratti gli si parò di fronte per
attraversare il canale, lì dove permetteva il passaggio. Si dovette arrestare bruscamente.
Fu allora che vide una pallida massa indeterminata. Una forma indistina, di un colore che confondeva le
tonalità più scure del blu con le più chiare del grigio, galleggiare tra il
luame color ocra.
Una mano! Un moncherino a cui mancava l'anulare! Soprassalì per l'orrore e la pochette gli schizzò via dalle mani giù verso il
salto della cascata.
Successe tutti
in pochi secondi. Si sporse verso il centro del canale per provare ad afferrare
la pochette, quando nello stesso istante un latrato, come il grido soffocato di
un bambino, rimbalzò tra le pareti del sistema fognario e lo investì in pieno, facendogli perdere l'equilibrio e finire nella colata di melma.
Ci volle un
minuto perchè la corrente lo trasportasse fino al salto.
Un minuto che parve un
secolo, nel quale ripensò a sua moglie, ai suoi figli, al mutuo a tasso di
interesse agevolato per i nuclei numerosi che aveva stipulato con la banca e con il quale aveva comprato quella bella bifamiliare sulle Dolomiti italiane. Quella bella bifamiliare dove la sua famiglia lo stava aspettando per trascorrere le vacanze, cazzo. Non poteva essere
che lui fosse lì a sguazzare letteralmente nella merda per il suo fottuto
lavoro, mentre la sua famiglia lo stava aspettando al di là della catena alpina
per festeggiare insieme il Natale.
Non avrebbe saputo dire se il salto fosse più o
meno alto di dieci metri, fatto sta che il caso volle la profondità fosse sufficiente
a permettergli di toccare con la punta dei mocassini il fondo e darsi lo slancio per poter
risalire. Si aggrappò al cornicione e si issò con entrambe le mani. Era zuppo
di rifiuti organici e del piscio di mezza città.
Pensò per un istante al
moncherino che aveva appena visto e raggelò. Ma non aveva tempo per gestire un altro conato.
Si tirò un pugno allo stomaco per sopprimere la ribellione dei molluschi e si tirò in piedi. Sul muro di fronte a
lui la luce del sole che penetrava dal tombino disegnava un curioso motivo sul
muro, come quello delle vetrate della chiesa
di San Ruprecht.
Prese a salire su per la scaletta che portava in superficie, mentre sentiva i cani abbaiare sempre più insistentemente dietro di sè. Poteva udire i passi dei
poliziotti che stavano per girare l'angolo e raggiungere il punto di raccolta
fognario.
"Fermati Henry,
non hai più scampo!". Non lo sentì nemmeno. Finalmente stava respirando l'odore della fresca
brezza invernale filtrare dalla bocchetta. La neve che era caduta
nei giorni scorsi su Vienna si impastò tra le sue mani mentre sollevava il tombino. "Henry
alza le mani lurido bastardo o ti faccio saltare le cervella!". Ma lui era
molto lontano col pensiero. Sentiva le mani morbide di sua moglie percorrergli
la schiena e afferrargli i glutei per tirarlo più forte a se mentre facevano
l'amore davanti al camino. Con passione, ma silenziosamente per non svegliare i
ragazzi. La mattina dopo sarebbero andati a prendere gli strudel da mangiare
sulle piste. Martin sarebbe caduto parecchie volte, ma probabilmente l'anno
venturo sarebbe stato pronto per fare le nere. Magari l'anno prossimo sarebbero
andati in Francia a sciare, a Chamonix, dove andava con i suoi genitori prima
della guerra. I suoi genitori. Straziati dalle bombe degli alleati su Vienna. Chissà come stava sua madre. Le mancava così tanto. "Henry
fermati per Dio! Alza quelle dannate mani!".
Se il paradiso esiste, li avrebbe rivisti prima
di quanto avrebbe mai immaginato. Prima di quanto avrebbe mai voluto.
Non era pronto
per morire. Non si era nemmeno dato una ripulita da tutta quella merda.
Sollevò il
tombino e fu investito dalla luce. Per un momento ebbe la visione di Rathausplatz invasa dai turisti
intenti a fare compere nel mercato natalizio. Era la cosa più bella che avesse mai visto. Una lacrima gli rigò il volto. Poi improvvisamente il buio lo
inghiottì e la vita gli scivolò via per sempre.
Un proiettile calibro 44 venne
sparato alle sue spalle, gli perforò
l'occipite e uscì dall'orbita destra assieme al bulbo oculare e parte del
cervelletto.
La neve sulla strada si dipinse improvvisamente di rosso vermiglio con
grande stupore dei passanti, i quali ebbero giusto il tempo per inorridirsi
alla vista del cranio esploso di Henry, prima che questi sprofondasse
nuovamente nell'oscurità, tirandosi indietro il tombino che si richiuse su sè stesso, con un
sonoro schiocco.
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